Quello a cui assistiamo sempre di più nella nostra società è una difficoltà a gestire non solo l’emozione, ma soprattutto il comportamento spinto da quell’emozione. Abbiamo perso la capacità di emozionarci e siamo diventati sempre più emotivi e reattivi.

Essere emotivi

La persona emotiva ha una maggiore suscettibilità agli stimoli esterni, reagisce più facilmente a ciò che accade, sperimenta le emozioni con grande intensità, riuscendo così a gestirle con fatica. Spesso prova un’emotività generalizzata: non è cioè determinata dal rapportarsi con un determinato tipo di situazione, ma si esplica nella maggior parte o in tutti i contesti della vita della persona.
Le persone emotive sono anche tendenzialmente molto sensibili, notano più particolari rispetto ad altri e “si attivano” più spesso. Questo li porta a reagire facilmente alle circostanze e, talvolta, anche ad avere bisogno di stimoli più forti o contesti particolari per provare un’emozione profonda.

Emozionarsi

La persona che si emoziona, invece, presenta un’oscillazione emotiva legata a situazioni ed eventi che accadono. Per esempio: ci si può emozionare per una bella notizia, quando s’incontra il/la proprio/a amato/a, avviene un evento atteso o un cambiamento desiderato. Tutto ciò determina una partecipazione attiva e un profondo coinvolgimento.

Quindi “essere emotivi” descrive una condizione generale di suscettibilità, mentre “essere emozionati” si riferisce a un’esperienza emotiva più specifica, intensa e con un coinvolgimento più profondo.

Reagire impulsivamente

Ad oggi “reagire ad un qualcosa” è la forma espressiva che usiamo di più. Proviamo un’emozione spiacevole e subito tendiamo ad agire, spesso impulsivamente. Le stesse comunicazioni su WhatApp e sui social sono piene di reazioni: mandiamo smile, emoticon, gif di tutti i tipi; qualcuno critica aspramente i post che legge, senza pensare che dall’altra parte dello schermo ci sia una persona in carne ed ossa che possa starci male; altre volte decidiamo di chiudere totalmente una conversazione, magari non rispondendo più (ghosting) o continuando a “seguire” l’altra persona sui social (wondering). E anche qui c’è un comportamento emotivo ed egoistico: non ci si preoccupa di come stia l’altro, del fatto che attenda di sentirci, semplicemente reagiamo pensando solo a noi.

Sentendo parlare le persone, noto sempre di più che abbiamo perso la capacità di emozionarci in generale e, delle piccole cose, in particolare. La routine e la corsa contro il tempo che spesso avvertiamo nelle nostre giornate rendono tutto meno intenso. Ed è un peccato. Sarebbe bello riprendere la capacità che hanno i bambini di stupirsi per le piccole cose, di notarle anche nelle nostre quotidianità perché poi, quando ci mancano, lì ne sentiamo la mancanza.

Questo comporta uno sforzo intenzionale a stare nel presente ed a notare le realtà, senza giudicare o reagire. La pratica della Mindfulness aiuta ad acquisire la capacità di osservare ciò che accade dentro e fuori di noi, momento per momento, senza comportarsi impulsivamente. Ciò non significa imparare ad essere distaccati, ma accettare le proprie emozioni, anche quelle difficili, e non identificarsi con esse. Questo promuove una risposta più flessibile e compassionevole. Anche le tecniche di Compassion Focused Therapy sono utili in tal senso. A seconda della storia di vita della persona e delle sue esigenze un terapeuta esperto saprà fornire le strategie più utili per gestire al meglio la propria reattività.

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